"...Che uomo mediocre! Purtroppo era da noi l’unico architetto, e negli ultimi quindici venti-anni, a mia memoria, non era stata costruita in città nemmeno una casa discreta.

 Quando gli si ordinava un progetto, di solito disegnava dapprima la sala e il salotto… a questo aggiungeva il disegno della stanza da pranzo, della camera dei bambini e dello studio, unendo le stanze per mezzo di usci, ed esse tutte poi risultavano inevitabilmente di passaggio e in ciascuna v’erano due e perfino tre usci di troppo. L’idea in lui doveva essere poco chiara, oltremodo confusa e monca… La facciata ha un'espressione caparbia e dura, linee secche e timide, il tetto basso, schiacciato… Col passar del tempo in città si erano abituati alla mediocrità di mio padre, essa aveva messo radici ed era divenuta il nostro stile".

Anton CECHOV,
da “La mia vita” (racconto di un provinciale)

 Questo stupendo passo di Anton Cechov, illustra, mirabilmente il concetto di "mediocrità"; racconta l'interpretazione di una cultura contadina Russa sul finire dell’Ottocento, ma sembra comune ad una lettura nemmeno poi tanto antica, di altre realtà urbane di piccole e medie dimensioni.

 Nelle nostre piccole periferie e in ambiti urbani lasciati liberi ad una crescita dettata da regolamenti stantii e aperti a concessioni amichevoli non confessabili perché frutto di raggiri interpretativi, è molto facile trovare una edilizia che a parlarne bene possiamo definire "mediocre", partorita dalla matita di tecnici distratti o con idea "… poco chiara, oltremodo confusa e monca…".

 La mediocrità ci circonda e ci assale; ci offusca la vista e livella le nostre aspettative di qualità urbana. Spunta le nostre lance con cui sarà difficile centrare la creatività e l’originalità delle intuizioni del progetto. Si condanna così il futuro. Si rimane quindi a emulare il protagonista del racconto di "La mia vita", che "...ricorreva a costruzioni accessorie di vario genere, addossandole l’una all’altra, ...".

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