Il nome Laos ricorda la grande regione del sud est asiatico attraversata dal fiume Mekong.
  Laos è anche l’antico nome del fiume Lao che nei suoi 55 chilometri, dal Pollino, (Basilicata) sfocia a mare, nel territorio di Scalea (provincia di Cosenza). Ma Laos è anche qualcosa di ben altro. Una antica città Lucana, che anche se posta sul confine meridionale di quello che viene indicato come “ethonos lucano” è posizionata oggi, nei confini della Regione Calabria.
  Laos è stata una città importante forse già a partire del V sec. a.C., con uno sviluppo essenziale nel IV-III sec. a.C., forse con una superficie di oltre 30 ettari, indicata nelle testimonianze storica dell’antica Lucania e individuata a pochi chilometri dell’attuale Scalea, a ridosso del fiume Lao, da cui prende il nome, più precisamente alla frazione di Marcellina, nel Comune di S. Maria del Cedro, in provincia di Cosenza.
  Gli scavi hanno rintracciato, sul pianoro di S. Bartolo, (che domina tutta la piana del fiume Lao) gli elementi urbani che hanno permesso di inquadrare il suo disegno urbano. di tipo greco, costituito da arterie stradali regolari con due assi stradali principale con orientamento Nord –Sud, che incrociandosi individuano vere e proprie insule. Non sappiano se Laos è la “Laviniun”, già indicata in documentazione di epoca romana, oppure se si può affermare con certezza scientifica che sia il luogo fondato dagli Achei provenienti da Sybaris, pur essendo plausibile la presenza di un abitato anche precedente.
  L’aspetto più emozionante di questa testimonianza materiale, di immenso valore non solo storico, sta quindi nel dato certo della sua antica presenza sicuramente importante tanto da essere stata capace di coniare monete proprie, (già forse nel IV secolo a.C.) ovvero di essere stata già una entità urbana sicuramente già a partire dal al V secolo, forse meno estesa, rispetto al suo sviluppo del secolo successivo, per essere abbandonata definitivamente agli inizi del II secolo a.C.
  Potremmo dire di Laos di un sito intrigante soprattutto perché sconosciuto.
  Sembra ovvio dire che una nuova campagna di scavo, 30 anni dopo l’ultimo impegno sui luoghi, da parte della Soprintendenza, darebbe l’occasione non tanto a dare risposte a tante domande sull’epoca dell’edificazione sui suoi aspetti culturali, in rapporto alla sua originaria fondazione Lucana o Sibarita, (o anche di nuove ipotesi su una Laos posta più nell’entroterra, come proposta da altri studiosi), ma soprattutto darebbe visibilità ad un’area, che con le tracce emerse, è una lezione di urbanistica antica, forse esempio di impianto urbano “scacchiera” teorizzato da Ippodamo di Mileto, comunque occasione di verifiche dimensionali, dell’impianto stradale, delle mura, delle cortine murarie, raffronti e arricchimenti culturali sulla storia dell’urbanistica ellenistica riproposte nelle Colonie greche e non solo.
  L’occasione potrebbe anche quella di indagare con le nuove tecnologie gli strati posti sotto l’abitato moderno oltre che creare un museo sugli stessi luoghi che raccolga il materiale a tutt’oggi catalogato, visibile a Scalea e al MArC.
  Si darebbe soddisfazione e occasione di un sano lavoro turistico alle associazioni locali che si sforzano a non far oscurare o addirittura far cadere sui luoghi un oblio, ingiusto per un sito che ha conosciuto splendore. Si, splendore, perché la costruzione di una città è l’insieme di una cultura materiale, è ingegno ed organizzazione urbana dove possiamo trovare solo ricchezza e quindi splendore.

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